Architettura & Ristrutturazioni

Barriere architettoniche ed edifici storici: quando la ristrutturazione diventa vincolante

Le barriere architettoniche rappresentano da sempre il più grande divario tra normodotati e diversamente abili. Esse dovrebbero essere proprio inesistenti, ma una coscienza civica purtroppo è in auge soltanto da pochi decenni, quindi questo precetto si può applicare solo alle strutture di recente costruzione, ma in contesti storici o edifici esistenti da secoli la loro esistenza può rappresentare dei limiti insopportabili per i cittadini. La loro ristrutturazione secondo i vincoli dell’abolizione di queste barriere si rende così doverosa.

Barriere architettoniche: cosa sono

Spesso pensiamo alle barriere architettoniche come le scale senza ascensore nei condomini, la mancanza della rampa per i disabili sui mezzi pubblici, o gli ingressi inadeguati negli uffici, ma anche l’assenza di segnalazioni visibili o “percepibili” che impediscano a coloro che hanno difficoltà motorie o sensoriali di uscire da casa. In realtà queste barriere sono presenti anche negli ambienti domestici, una porta troppa stretta, un box doccia inadeguato, una scala per accedere al piano superiore. Sono un numero davvero ampio di ostacoli che sono più o meno percepiti come tali da ogni differente individuo, a seconda del grado di disabilità che gli appartiene. Allo scopo di garantire una quanto più possibile uniformità di uguaglianza, una garanzia di libertà di movimento per ogni cittadino, la legislazione ha previsto delle regole e dei parametri comuni che vanno rispettati in favore di ciò, a partire dagli anni novanta. Ciò prevede infatti sia le identificazioni razionali di questi limiti evidenti, che gli idonei interventi affinché questi ostacoli vengano eliminati, individuando le modalità di progettazione architettonica e le diverse soluzioni per abbattere le barriere architettoniche e gli interventi per rendere possibile l’accessibilità a tutti.

Accessibilità, visitabilità ed adattabilità: le tre parole chiave per la ristrutturazione

La normativa in materia di ristrutturazione si occupa di delineare “le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata”. Esse devono rispondere a queste tre parole chiave. La prima è l’accessibilità, ovvero la possibilità per persone con assente o ridotta capacità motoria o sensoriale di raggiungere ed entrare negli edifici e usufruirne degli spazi in totale sicurezza e autonomia. La visitabilità, quella che concerne gli spazi di relazione e conversazione, ed almeno un servizio igienico di ogni edificio e l’adattabilità, cioè la prospettiva di modificare nel tempo i diversi ambienti, rendendoli sempre più agevoli e fruibili per i disabili, in un momento posteriore rispetto agli interventi base di eliminazione delle barriere architettoniche.  

Agevolazioni fiscali e contributi per l’abbattimento delle barriere architettoniche

Esattamente come il legislatore impone le opere di ristrutturazione al fine di eliminare tali barriere architettoniche, la stessa legge 13/1989, prevede anche un contributo per coloro i quali effettuano interventi in tal favore su immobili privati già esistenti e in comprovata presenza di un disabile residente, sia di carattere motorio che non vedente. Tali contributi vanno richiesti agli enti locali, nella fattispecie al Comune di residenza, la domanda va presentata entro il primo marzo dell’anno solare in corso, accompagnata da marca da bollo. L’amministrazione effettua le verifiche sul caso e, in mancanza di impedimenti e di accoglienza della stessa, procede all’erogazione dei contributi, che sono a fondo perduto e vengono quantificati in relazione alla spesa prevista per le varie modifiche funzionali. Possono essere erogati sia per una singola opera che per una serie di opere connesse funzionalmente.

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